Un aforisma di Buddha recita: “Ogni desiderio è un dolore, mille desideri mille dolori!”. E’ chiaro e logico che dopo la lettura e la conseguente meditazione su una verità così palese, nasca la spinta a liberarsi da ogni desiderio seguendo il percorso della rinuncia come facevano i monaci buddisti ai loro tempi: “Raggiungo la perfezione e sono felice, quando riesco a dominare ogni attaccamento al mondo fisico e al mondo dei desideri”, così pensavano e agivano i seguaci del Buddha, (in linea generale, senza entrare nel merito della dottrina buddista).
Ma le cose non stanno esattamente così nel nostro mondo occidentale, dove siamo continuamente stimolati a desiderare ciò che è al di fuori di noi; se così non fosse, non saremmo persone normali cioè legate al mondo che ci circonda e capaci di creare tutto ciò che esiste intorno a noi.
E’ impensabile annullare i desideri, sarebbe come uccidere l’impulso alla creatività nell’individuo, nella società del consumismo, dalla vita produttiva al progresso soprattutto spirituale; infatti, se avanziamo nel percorso della consapevolezza e delle conquiste nel campo scientifico e spirituale, che aprono la mente su altri orizzonti, lo dobbiamo al desiderio di capire, comprendere e avanzare secondo la nostra scelta, che anima la volontà di agire e concretizzare.
Allora che valore ha la massima del Buddha, dovrei aggiungere, ai nostri giorni?
Ci introduce in una problematica molto profonda e determinante per il nostro equilibrio, per la nostra armonia e benessere psicofisico e spirituale.
Cominciamo subito dal rapporto con il desiderio in sé domandandoci se il desiderio va coltivato o no: il desiderio va coltivato perché è il motore della nostra esistenza fisiologica e spirituale conscia ed inconscia, nel senso che ad esempio tutte le nostre funzioni vitali come il nutrirsi, il dormire, la veglia ecc…. vengono soddisfatte perché stimolate da desideri inconsci: quando ho fame, dico: desidero mangiare oppure ho voglia di mangiare (il passo successivo al desiderio, la volontà), così è per tutte le necessità vitali.
Ma anche quando si tratta di attività psicospirituali, il desiderio svolge la sua funzione, mette in moto la volontà di concretizzare idee e concetti, questo è il processo: quando ho in mente di raggiungere una cosa, nasce nella mia mente e psiche la sua immagine che stimola contemporaneamente il desiderio corrispondente e la volontà di realizzarlo.
E’ un processo naturale cui non è possibile sottrarsi o rinunciare, pena la non-vita, il disseccarsi di ogni funzione psicospirituale con conseguenze negative anche fisiche, sarebbe il comportamento degli asceti, degli eremiti delle religioni buddista cristiana e islamica e altre che martirizzavano i propri corpi, migliaia di anni fa, reprimendo i desideri per raggiungere l’ascesi, la visione e la contemplazione mistica in armonia con gli ideali religiosi del tempo.
Ai nostri giorni tale comportamento non è più possibile in maniera così drastica, perché le prove formative del nostro carattere, il raggiungimento della consapevolezza e l’equilibrio fisicospirituale passano attraverso la dimestichezza e il plasmare le energie dei desideri che assalgono, avvolgono e stravolgono l’uomo normale durante la sua esistenza quotidiana.
Allora è il caso di chiarire una volta per tutte il significato del desiderio, facendo innanzitutto una prima classificazione (non è giusto fare distinzioni, ma in questo caso è molto utile): esistono desideri di prima necessità legati, come abbiamo visto poco fa, alle necessità vitali, quindi desideri funzionali inconsci, che, se non vengono soddisfatti in misura giusta, causano dolore e sofferenze: il mangiare insufficiente, il dormire in condizioni difficili o insonnia, il non potersi vestire in maniera adeguata, lo stare male fisicamente…
Ma quando si entra nel mondo della psiche, allora le cose si complicano ed occorre capire consapevolmente la natura specifica di ogni desiderio e in tale mondo si soffre veramente un dolore, spesso inaccettabile e causa di sofferenze esistenziali.
Prendiamo ad esempio, lo stato di non accettazione di se stessi molto frequente in tutte le età e sessi, esso crea un dolore e una sofferenza continui e difficilmente superabili se non con volontà. Perché? Perché il desiderio di benessere è vanificato dalla sfiducia, dalla non stima e non rispetto di se stessi, dalla mancanza di amore (forse dovuto a carenze affettive nell’infanzia e nell’adolescenza); si avverte il senso di non essere all’altezza delle situazioni, l’incapacità di far valere il proprio punto di vista, di attirare attenzione positiva per il proprio operato, la paura di misurarsi e di dominare la timidezza, la mancanza di coraggio e determinazione in certe situazioni….l’elenco degli aspetti negativi potrebbe ancora continuare, ma l’effetto è unico, dolore esistenziale, perché? Perché chi non si accetta è separato, è diviso in se stesso e da se stesso.
Questo è il nocciolo della questione: la persona avverte una dolorosa situazione, si vede scisso in due, una parte di sé portatrice del difetto della non accettazione, distaccata l’altra parte invece dotata di tutti gli aspetti positivi che vorrebbe realizzare: fiducia, rispetto, dignità, potenza, sicurezza…. Maggiore è la distanza di tale separazione, cioè più sono incolmabili i difetti, maggiore è la sofferenza, il dolore.
Quindi viene con sé quale dovrebbe essere il modo di superare il dolore: unire le due parti, la reale negativa con l’ideale positiva.
In tale operazione il desiderio gioca un ruolo molto importante, ma il desiderio giustamente inteso, quando cioè è compenetrato di volontà.
Ciò significa che quando desidero una cosa, a livello psicospirituale, devo realizzarla creando situazioni, circostanze ed eventi concreti usando la volontà di fare.
Esempio: desidero accettarmi, sviluppare sicurezza fiducia rispetto…, allora devo scegliere tra le situazioni quotidiane quelle che mi offrono l’occasione di mettere in pratica ciò che desidero e quindi voglio. Il capoufficio mi ordina di fare un’ azione difficile, magari in rapporto con altra o altre persone, io colgo al volo la prova-sfida e mi sforzo con tutte le mie energie di dare il meglio di me; ciò significa cha al momento dell’accettazione della prova, io sono compenetrato nel mio desiderio di superarla e uso la volontà per eseguirla con presenza di spirito, sicurezza e fiducia in me.
Infatti se paragoniamo i due stati d’animo, prima e durante l’esecuzione della prova, c’è una sostanziale differenza: nella prima fase, provo dolore perché sono separato da quei sentimenti e ideali che, in seconda fase, mi sforzo di realizzare; invece quando mi applico nella prova, sono compenetrato nel desiderio-volontà e mi sento unito, me stesso al meglio.
Da ciò si capisce che il dolore nasce dalla separazione da se stessi e dalle cose; la psicologia quantistica, derivata dalla meccanica quantistica, che tenta di spiegare i meccanismi interiori della nostra psiche e della nostra mente partendo dalla realtà che ci circonda, afferma che tutte le cose sono unite tra loro, dagli eventi alle persone, riprendendo l’essenza fondamentale di tutte le filosofie-religioni orientali (taoismo, buddismo, dottrina del Logos ecc..) cioè la consapevolezza dell’unità e dell’interrelazione di tutte le cose.
Nasce quindi una duplice equazione a livello psicospirituale:
a) unione = equilibrio, armonia,
b) separazione = infelicità, dolore e conflittualità.
A questo punto occorre capire bene come comportarci nella quotidianità fra le onde travolgenti del mare dei desideri. Innanzitutto uso della consapevolezza per capire quali desideri meritano un impegno della volontà per essere realizzati, quindi impiego di energie…..che significa? Che non tutti i desideri che attraversano la mente o la nostra psiche sono tali da essere coltivati e realizzati: quei desideri che non sono il raggiungimento di una meta per cui si lavora da tempo consapevolmente, quei desideri che viaggiano nell’aria, come espressione della non-coscienza collettiva: voglio vincere al gioco, cambiare vita, marito/moglie, lavoro, famiglia ecc…che chiaramente sono i sintomi di disagi psichici, quei desideri che dipendono da situazioni esterne e non direttamente dalla scelta individuale e in genere che sono lontani dalla portata delle energie personali; mentre ci sono altri desideri, aspirazioni che appartengono alla sfera intima e che possono essere coltivati con libertà e sforzo creativo sui quali si ha maggiore possibilità di realizzazione: quelle aspirazioni a coltivare la conoscenza di sé e la cultura in genere, a cambiare vita interiore, a creare nuove capacità, attitudini e a sviluppare quelle ritenute positive e soprattutto una aspirazione totale e al massimo gratificante: l’accettazione, la stima, il rispetto di se stessi e l’amore per sé e il creato.
Se si viaggia su tale onda energetica, il ritorno è continuo e davvero appagante, il desiderio crea equilibrio, armonia e unione con se stessi.